"MAMMA, COS'E' UN GASDOTTO?" - BRINDISI, marzo 2023. S(c)torie nucleari.



-"Mamma, Cos'è un gasdotto?"-

 Chiese Emiliano alla madre, come colpito dal ricordo fulmineo di una conversazione che aveva ascoltato.
 Marta stette un attimo a pensare, senza staccare lo sguardo dalla strada, riflettendo su come si potesse spiegare ad un bambino di cinque anni cosa fosse un gasdotto.
La vettura continuava a correre e già in lontananza si intravedevano le ultime luci rimaste del Perrino, quello che un tempo era stato l'ospedale della città. Ormai di quella enorme struttura non era rimasto granchè: ne era crollata quasi la metà durante i bombardamenti del '17. Lo ricordava bene, perchè Emiliano era nato a casa della nonna. Sparito il Perrino non era rimasto neanche un ospedale in tutta la provincia e lei per partorire aveva dovuto affidarsi a metodi e saperi ormai in disuso da tempo. Emiliano nacque sul tavolo della cucina mentre tutti i soprammobili della vecchia casa tremavano per le lontane e cupe esplosioni. Erano passati solo cinque anni, quasi sei, come diceva Emiliano riguardo la sua età, ma a lei sembrava un'intera vita, quella di Emilano appunto.

- "Un tubo"-
 sbottò Marta .
-"Si, ma nel senso che "non è un tubo", o che è proprio "un tubo"?"-,
 replico' stizzito Emiliano.

Marta si rilassò per un secondo, divertita dalla conversazione, gli sfuggi' una risata ed osservo' i cartelli blu lungo la carreggiata, per trovare la giusta uscita per raggiungere gli imbarchi. Non aveva fretta, la nave sarebbe partita dopo due ore, ma a lei piaceva fare le cose con calma, con molto anticipo.
Aveva preso però un rischio enorme, avrebbe infranto il coprifuoco, ma non c'era alternativa. Aveva anche messo in conto che il destino non giocava i suoi tiri mancini solo dopo il richiamo delle sirene.
Emiliano attendeva la risposta preso dai suoi pensieri e dalle vecchie foto che la nonna gli aveva regalato e che ora erano sparpagliate sul sedile.

-"Un gasdotto è un lunghissimo tubo che serve a portare il gas"-,
 sentenzio' la donna.

 Non era completamente soddisfatta della risposta che aveva dato ad Emiliano, come se avesse voluto dirgli più di quello, per poi attenersi alla realtà delle cose che Emiliano le aveva richiesto.
Ormai era già entrata a Brindisi. Conosceva a memoria il percorso più sicuro per arrivare al porto. Appena le sirene del coprifuoco cessarono di emettere i loro lugubri ululati, il silenzio si fece più denso ed iniziò ad essere rotto dallo lo strepitare lontano dei colpi di mortaio. Non si capiva mai da quale parte della città provenissero.
 Emiliano,  sapeva anche lui quello che doveva fare. Si accuciò sul sedile posteriore affidandosi alle rassicurazioni della madre. Ma il piccolo era  abituato a quella realtà; era l'unica che conosceva da quando era nato.

La vettura svoltò a destra e subito l' attenzione di Marta fu attirata da un gruppo di uomini armati che si nascondevano dietro un cassonetto sul lato destro della strada, al di la' di una fila di vecchi pini. Riconobbe le linee di vernice tracciate con le bombolette spray  sui cashi di quelle persone. In un lampo capi' di trovarsi sulla scena di un imminente conflitto a fuoco tra i Frontisti e l'Esercito Regolare.
Vedeva dappertutto uomini prendere posizione di soppiatto. Doveva decidere in fretta, accellerò.
Si voltò quando senti Emiliano urlare: "Mamma, mamma, c'è zio Roberto!" Effettivamente Roberto era li, nascosto dietro un angolo di una stretta strada fra due palazzine,che guardava ansimante di fronte a se', con la schiena al muro e un kalashnikov fra le mani. La macchina lo superò.
 Roberto, il fratello di Marta, era andato via da casa da mesi,  ed erano mesi che Marta non aveva sue notizie. Era giovane e diceva di voler combattere. Diceva che non voleva rimanere a guardare senza far niente. Lasciò casa e si uni' ai Frontisti.
I pensieri della donna iniziarono a confondersi, di colpo il suo cuore inizio' a battere all'impazzata, pensò suo malgrado, per un secondo, che anche se lei non riusciva a rispondere adeguatamente alle domande di Emiliano, la realtà lo stava facendo al posto suo, con tutta la sua feroce chiarezza. Sul suo volto apparve un'espressione a metà fra la paura, la rassegnazione e l'amarezza, che per questo particolare equilibrio di sentimenti non si trasformo' in rabbia.
 Fu distratta dalla strada, voltò la testa verso destra e intravide il braccio teso di un uomo che lanciava qualcosa. Riconobbe una granata. Tornò a guardare fisso davanti a sè con il capo premuto sul poggiatesta del sedile.
 Pochi istanti, la macchina sfrecciava, un boato la fece sobbalzare, mandando in frantumi il vetro pesteriore e tutti i finestrini. Poi iniziarono a sparare.
 Dopo una sbandata la vettura continuava a correre quasi intatta sull'asfalto. Marta non sentiva quasi più: a malapena distingueva il pianto di Emiliano sul sedile posteriore, fra i vetri e le fotografie, ma si rassicurò distinguendo lontanamente nella sua voce solo un forte sapavento.
Premette l'accelleratore, si lasciò alle spalle il teatro dello scontro e si diresse verso la zona industriale della città, mentre le lacrime gli scorrevano sulle guance.
 Piangeva, e  il vento, che entrava da i finestrini sbriciolati facendole dolcemente svolazzare i cappelli castani che dopo un breve volo incontravano le sue guance umide, attacandovisi come in un'affettuoso bacio, le sussurrava di mantenere la calma, le ricordava che la tenerezza non aveva ancora abbandonato la Terra e che il mare li avrebbe portati via, verso l'Albania, lontano da quell'inferno.
Marta  ricordava precisamente quando la guerra era  una voce lontana, una notizia in un telegiornale. Non l'aveva mai vista con i suoi occhi.
Quando la conobbe gli parve molto diversa da come l'aveva immaginata..
Anche se gli storici futuri troveranno un giorno preciso al quale sovrapporre la data di inizio di questa guerra, le cose andarono in modo alquanto diverso. La violenza arrivò gradualmente. Quando fu palese, tutti rimasero sbigottiti, ma essa aumentava ormai da decenni. Nei primi dieci anni del secolo il clima sembrava sospeso. Aleggiava un ombra lontana che però era troppo piccola per farsi notare. Crebbe lentamente. Qualcuno affermava che l'intero pianeta stesse attraversando una guerra da ormai trent'anni, ma nessuno aveva mai considerato che poteva essere vero.
La guerra portò gli aerei.
Marta aveva l'abitudine di fare molta attenzione agli aerei che passavano nel cielo. Quando era piccola correva a nascondersi sotto la gonna di sua zia appena un boato preannunciava il passaggio  di un aereo. Lei fuggiva piangendo, dicendo di avere paura. Nella sua innocenza aveva ragione.
Era normale anche vedere aerei da guerra esercitarsi nei cieli e con il tempo ci fece l'abitudine, come sua zia.
Ma un giorno, quando ancora  Emiliano non faceva parte del suo destino, uno di questi squarciò il cielo sopra la sua testa. Lei sollevò gli occhi e si vide di fronte l'enorme aereo. Passò precisamente sopra di lei. Marta lo guardò, quasi cercando di incrociare lo sguardo del pilota, per quanto volava basso.
Appena un istante e l'aereo sparì, lasciando che il rumore assordante che aveva invaso l'atmosferà defluisse, lasciando il posto al silenzio più calmo.
Fu proprio in quel silenzio improvviso che Marta inconsciamente capì. Capì che poche centinaia di metri più lontano nessuno lo aveva sentito passare. L'aereo si nascondeva.
Ricordò Mahmoud, suo amico palestinese, che dopo essersi spaventato al passaggio di un elicottero gli raccontò che a Gaza, suo paese natale, quando passa un elicottero la gente scappa via.
Lentamente i tasselli si composerò. Le armi invaserò le strade, attraversando canali rimasti alungo sopiti.
Enormi campi di ulivi dove lei aveva trascorso la sua infanzia, lasciavano gradualmente il posto a spianate di polverosa terra rossa, dove gli elicotteri decollavano e atterravano come zanzare.
 Il cielo era diventato rosso a causa della polvere sollevata.
La guerra, in poco meno di due anni, aveva fatto sparire più della metà degli alberi che componevano i suoi ricordi.
Tutto era cambiato, trasformato. Si rese conto che la guerra implica la sua accettazione. La percepiva quasi come uno stato mentale più che come una realtà. Aveva iniziato ad incurvare la schiena, per dinfendersi inconsciamente dai colpi agli organi vitali. Camminava così, difendendosi.
Pensava, difendendosi. Per certi versi la quotidianità con il tempo aveva assunto dei tratti confortevoli.
La vita era diventata con meno aspettative, lasciando il posto al riposo, quando le priorità erano state soddisfatte. La gioia era diventata più profonda, più silenziosa, più intima. Il tempo aveva iniziato a rallentare.
A volte Marta pensava di vivere nel modo raccontatole da sua nonna davanti al fuoco, dove nella sua giovinezza, la seconda guerra mondiale aveva trasformato sua vita di adolescente.
Pensava all'Albania, pensava a quando nel 1991 un'enorme nave stracolma di persone aveva attraccato nel porto di Brindisi. Fuggivano dalla guerra civile.
Ora fuggiva lei, nella direzione opposta, ma per lo stesso motivo.



(Foto e testo Paolo Summa)

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